Dalla “Cupa” il concerto di Vinicio Capossela, come non restarne “avviluppati”?

TEATRI DI FAMIGLIA. LA PAROLA E LA SCENA IN TERAPIA FAMILIARE
Workshop di Annamaria Sorrentino. “Riattivare l’attaccamento attraverso la terapia familiare”.
TEATRI DI FAMIGLIA. LA PAROLA E LA SCENA IN TERAPIA FAMILIARE
Workshop di Annamaria Sorrentino. “Riattivare l’attaccamento attraverso la terapia familiare”.
La notte stellata. Rivista di psicologia e psicoterapia n° 1/2018 – RECENSIONI – pag 134-136 

Dalla “Cupa” il concerto di Vinicio Capossela, come non restarne “avviluppati”?

di Patrizia Costante


Il 9 dicembre 2017, all’Auditorium Conciliazione di Roma, Vinicio Capossela è apparso tra la “Polvere” e l’ “Ombra”, le due parti che compongono l’album, in un teatro gremito di “accoliti”, questa volta non “rancorosi”.
Il cantautore dell’Alta Irpinia, emiliano d’adozione, come accade sempre nei suoi concerti, compare sul palco nel silenzio fitto di una platea che attende con il fiato sospeso che la sua voce rompa l’oscurità e il rumore del nulla. D’altronde, Capossela ha da sempre una grande familiarità con il cupo. In “Non si muore tutte le mattine”, suo primo romanzo pubblicato nel 2004 ci ricorda che “il giorno si fa chiasso da subito, ma una volta annottato occorre fare silenzio. Scomparire!!! … non farsi più sentire … lasciare le strade al silenzio e alla morte, fino a che le prime gru, mattiniere, cominciano il loro balletto da giraffe”; ed è proprio così, non si arriva ad apprezzare fino in fondo la prima canzone che il silenzio ritorna a cadenzare e dettare i tempi della vita in scena.
Le canzoni raccontano storie di un mondo intriso di miti e leggende legate alla tradizione e al folklore di quelle terre di cui Capossela non ha ricordi perché non le ha vissute, ma di cui raccoglie memorie e racconti di chi quelle terre le ha attraversate, le ha viste nascere e poi morire sotto le scosse del terremoto che le colpì nel 1980. Ne “Il paese dei coppoloni” (2015) Capossela ben esprime la necessità di ritornare alle origini quando scrive “d’improvviso mi foravano le orecchie i sibili della purezza, del rispetto dimenticato.

 

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